Non bisogna andare molto lontano per trovare dei modelli di produzione agricola che ricordano a quelli utilizzati dagli italiani secoli fa. Infatti quando pensiamo a metodi rudimentali di lavorazione della terra, a seminazione e raccolta manuale e ad una dipendenza cruciale dalle condizioni meteorologiche pensiamo al paesi come il Libano o le zone rurali della Mongolia. Eppure, questa realtà ci è più vicina di quello che pensiamo.
Paesi che, alcuni, fanno parte ad oggi della Comunità Economica Europea, pur avendo superato i requisiti minimi per entrare a fare parte del gruppo e pur attenendosi alla normativa comunitaria per la regolazione della produzione agricola, molto spesso aiutati da fondi per lo sviluppo, sono ancora lontani dal livello di costruzione macchine agricole dagli stati europei occidentali.
I Balcani sono una delle zone dove questo fenomeno è più latente. Nella maggioranza di questi paesi l’agricoltura costituisce sempre più del 10% del PIL, una cifra molto più alta che nel resto della Comunità. La caratteristica particolare di questi paesi è che anche se alcune aziende straniere e grandi aziende locali riescono ad ottenere dei benefici e sono in grado di accedere a macchinario anche ad alto costo come la fresatrice agricola, vi sono molti piccoli agricoltori che dedicano parte o tutta la giornata a campi familiari per la loro sussistenza e per il baratto con i vicini.
Per una gran parte della popolazione di questa zona, dove i tassi di disoccupazione possono arrivare a più del 40%, l’agricoltura rappresenta un’alternativa ad un mercato del lavoro inesistente. Ovviamente, queste persone non hanno accesso a macchine specializzate per la lavorazione della terra e quindi mantengono i metodi tradizionali come l’aratura e aiutati in occasioni solo da un trattore come sostituto da macchine seminatrici e altre apparecchiature moderne.
Alcuni argomentano che questo modello pur essendo difficile di sviluppare sia infatti positivo al momento per alcuni di questi paesi che in certi casi non hanno delle regolazioni chiare in termini di pratiche accettate, sviluppo sostenibile e conservazione del territorio per cui un’agricoltura a basso impatto risulta positiva. L’argomento è comunque da discutere già che esistono dei dispositivi di lavorazione del terreno come il ripuntatore agricolo che sono meno aggressivi con la terra e che faciliterebbero il lavoro ai contadini rendendo più profittevole il settore agricolo del paese e che permetterebbero la creazione di infrastrutture redditizie nei terreni abbandonati a causa della mancanza di regolazione.
Lavori che con i nostri trinciasarmenti sono relativamente semplici possono occupare intere giornate a questi contadini, che se invece di raccogliere e sminuzzare i residui della raccolta manualmente potessero farlo meccanicamente, avrebbero più opportunità di sviluppo, formazione e benefici che aiuterebbero tutta la comunità locale e in ultima istanza tutta la zona dei Balcani ad avvicinarsi ai modelli agricoli dei loro vicini occidentali.
La sfida è quindi quella di fare del settore agricolo un settore profittevole, che impieghi le numerose famiglie che si dedicano da generazioni alla coltivazione dei campi e che conoscono le particolarità della terra e climatologiche come nessun altro.
Integrare le aree rurali in modo effettivo nel tessuto economico e sociale rappresenta quindi una sfida decisiva tanto per la popolazione rurale.
Articolo a cura di Alba Lorente
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martedì 30 agosto 2011
Sviluppo economico: l'agricoltura di ieri nell'Europa di oggi
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