Il dibattito sul fatto che le pubblicità realizzate su stampe di grandi dimensioni deturpino o meno le facciate dei nostri monumenti e le strade delle principali città italiane è da anni molto acceso.
Da una parte l’indignazione dei critici d’arte, dei cittadini e spesso anche dei turisti che non vogliono che le facciate di importanti chiese ed edifici siano oscurate dall’ombra di queste imponenti strutture metalliche, di supporto a cartelloni sui quali sono impresse stampe digitale reclamizzanti un profumo piuttosto che una banca; dall’altra la campana “stonata” delle amministrazioni pubbliche che volenti o dolenti si ritrovano a dover accettare ( e anche senza troppe esitazioni,viste le ristrettezze delle casse comunali) quelli che sono palesemente dei compromessi.
La pratica di utilizzare cartellonistica pubblicitaria per reclamizzare dei prodotti o dei marchi ha lentamente preso piede in Italia, ma attualmente ha raggiunto una diffusione tale che in qualsiasi città italiana non esiste un grande edificio che non sia (o sia stato) utilizzato come supporto sul quale montare queste grandi strutture. Nei casi più contestati si è trattato persino di edifici storici come nel caso di Palazzo Ducale a Venezia, che nei due anni impiegati per il suo restauro è stato coperto da un enorme cartellone pubblicitario, oppure in occasione del restauro di Castel dell’Ovo a Napoli o del Ponte Vecchio a Firenze . Per capire la diffusione del fenomeno, basti pensare che a Firenze almeno 37 edifici sono fasciati da poster di grandi dimensioni, a Roma i palazzi storici che subiscono la stessa sorte sono circa 60, mentre la regina dei réclame formato famiglia sembra essere la modaiola Milano, con qualcosa come 260 affissioni.
Nella capitale, dove la concentrazione di edifici di rilevanza storica mondiale è più alta che in qualsiasi altra città europea, la giunta Alemanno sta tentando di porre fine alla sostanziale deregulation che ha governato il settore fino ad ora, e che si è potenziata in seguito alla delibera 37, a dir poco tollerante nei confronti di queste strutture pubblicitarie, varata dal Campidoglio due anni fa. In questo periodo di tempo il lassismo dimostrato dall’amministrazione comunale ha portato ad una situazione di emergenza, nella quale a fronte dei 32.000 impianti autorizzati, nella città romana ce ne sono almeno 50.000.
Che la situazione stia davvero diventando pericolosa lo conferma purtroppo un incidente automobilistico avvenuto sulla Tuscolana la mattina del 2 Novembre, quando un giovane motociclista, perdendo il controllo della sua moto, è andato a sbattere su un cartellone pubblicitario che si trovava inspiegabilmente proprio sullo spartitraffico. La normativa infatti prevede che questo tipo di stampa grande formato debba essere montata ad almeno un metro e ottanta centimetri di distanza dal ciglio della strada. Proprio con l’intento di dar vita ad una protesta è nato il comitato “Basta cartelloni”, formato da cittadini romani e da sostenitori della causa, che ha anche creato un gruppo Facebook intitolato “Basta cartelloni a Roma” grazie alla quale i fan vengono aggiornati sulle iniziative del gruppo e sulle novità legislative in materia.
Sicuramente va sottolineato che attualmente gli introiti incassati dalle casse comunali per la cessione di spazi pubblicitari costituisce una notevole entrata, è anche vero che probabilmente una regolamentazione appropriata, che tenesse conto anche delle norme della sicurezza stradale e dei cittadini, sarebbe accolta con più accondiscendenza anche dai cittadini stessi.
Articolo a cura di Serena Rigato
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